Assegnazioni e cessioni da coordinare

Le norme sull’assegnazione e cessione agevolata dei beni ai soci con il corollario della possibile trasformazione in società semplice stanno entrando nel vivo ma restano ancora diversi dubbi tecnici dovuti a una normativa molto sintetica che si innesta su un sistema complesso specie in relazione al rapporto tra assegnazione e cessione agevolata dei beni ai soci.
La ratio legis di entrambi gli istituti giuridici è chiara: consentire una fuoriuscita agevolata dei beni societari non inerenti l’attività imprenditoriale della società. Tuttavia non risulta chiaro se gli effetti fiscali sono coordinati o se, al contrario, sono diversi, per cui in alcuni casi una delle due operazioni è da preferirsi all’altra. Se fosse vera la seconda ipotesi bisognerebbe avere chiarezza sul fatto che l’opzione per la scelta più conveniente non sia qualificabile come operazione elusiva, facendo valere il principio del legittimo risparmio d'imposta (articolo 10 bis comma 4 dello statuto del contribuente). Gli aspetti principali che devono essere chiariti sono i seguenti:
il trattamento fiscale dei dividendi, nell’ipotesi di cessione, nel caso di utile assoggettato a imposta sostitutiva;
la possibilità, sempre nell’ipotesi di cessione, di utilizzare un corrispettivo tra le parti più alto rispetto a quello pari al valore catastale da usare solo ai fini del calcolo della plusvalenza fiscale.
Evidenziamo che le tematiche sopra esposte sono sempre da considerare tutte le volte in cui la società intende attribuire un bene solo a una parte della compagine sociale per cui vi è la necessità di valutare l’impatto economico e patrimoniale sugli altri soci non destinatari del bene. Si tratta quindi di situazioni molto frequenti.
L’esempio
Per evidenziare gli aspetti che meritano un approfondimento si può partire da un esempio: la società Alfa partecipata da tre soci paritetici, persone fisiche, A, B, e C intende attribuire al socio A un bene immobile che ha un costo fiscalmente riconosciuto di 100, un valore catastale di 120 e un valore normale di 200. La società non ha un patrimonio che consente di attribuire un valore di 200 a ciascun socio.
Se si decide per l’assegnazione la società potrà optare per utilizzare il valore catastale e quindi l’imposta sostitutiva dell’8% sarà pagata su 20. Il socio A riceverà un valore effettivo di 200 con un costo fiscale di 120. Qualora il socio avesse intenzione di cedere il bene immediatamente, senza aspettare cinque anni dall’assegnazione, la società potrebbe decidere di pagare l’imposta sostitutiva sul valore normale di 200, garantendo in tal modo ad A un costo del bene pari al valore normale, e in tal caso la base imponibile diventerebbe 100. In ogni caso sull’imponibile di 20 o di 100 nulla sarà dovuto più dal socio A.
Se si decidesse di cedere al socio a 120 o a 200 (o a qualunque importo compreso tra i due valori) si genererà una riserva di utili sulla società per la plusvalenza al netto dell’imposta sostitutiva (nella prima ipotesi di 18,4 e nella seconda ipotesi di 92). Essendo una riserva di utili liberamente distribuibile ai soci, si tratta di capire quale effetto fiscale si determinerà nei loro confronti al momento della distribuzione: se venissero considerati dividendi normali e quindi tassati con un imponibile del 49,72% a tassazione ordinaria si genererebbe una netta disparità di trattamento rispetto all’assegnazione, per cui quest’ultima diventerebbe decisamente preferibile. Se viceversa, come parrebbe logico, queste riserve fossero da considerarsi quali utili detassati in capo ai soci, sarebbe da chiarire in che modo possono essere identificate e quali regole devono valere in termini di priorità di distribuzione rispetto alle altre categorie di riserve. Anche il tema del corrispettivo assume rilevanza in quanto non è chiaro se nell’ipotesi di cessione è possibile pattuire un corrispettivo pari al valore di mercato (nell’esempio 200) e poi assoggettare a tassazione, tramite una variazione in diminuzione, la sola parte di plusvalenza derivante dal valore catastale. In sostanza, qualora valesse tale regola, si potrebbe decidere di cedere il bene a 200 al socio A e tassarlo con un corrispettivo “catastale” di 120. Il risultato sarebbe di avere in capo al socio un costo del bene di 200 (in quanto l’importo pagato è stato questo) e in società una riserva già tassata di 18,4 e una non tassata di 80, quest’ultima in caso di distribuzione sarebbe un dividendo tassabile in modo ordinario. Nonostante nella norma non vi sia una deroga alla regola del corrispettivo sembrerebbe essere anche questa una ipotesi del tutto ragionevole in termini logico sistematici pena un differente e più penalizzante trattamento della cessione rispetto all’assegnazione.
Chiarimenti cercansi
Data la delicatezza dei temi un intervento chiarificatrice su entrambi i punti da parte dell’agenzia delle Entrate risulta indispensabile. Sarebbe ragionevole arrivare ad una logica interpretativa delle sintetiche regole della cessione agevolata in linea con le conclusioni a cui si è pervenuti nell’ipotesi di assegnazione. Una scelta diversa (le riserve di utili da cessione agevolata sono sempre dividendi ordinari e il corrispettivo pattuito è in ogni caso quello da considerare nel calcolo dell’imposta sostitutiva) porterebbe gli operatori a trovare soluzioni per privilegiare l’assegnazione agevolata.
Nell’esempio che abbiamo visto sopra al posto dell’assegnazione agevolata a valore catastale, nel caso di patrimonio sociale non in grado di garantire una distribuzione di valori omogenei a tutti soci, si potrebbe effettuare una cessione agevolata a valore catastale di 120 al socio A il quale dovrebbe poi integrare il patrimonio sociale con un versamento in conto capitale di 80 a vantaggio di tutti i soci. È evidente che il risultato assomiglia a quello di una cessione agevolata a valore effettivo, con tassazione riferita al catastale, con il rischio che in futuro le autorità fiscali potrebbero contestare che l’operazione è stata effettuata solo per ottenere il beneficio del minor imponibile e che quindi il versamento in conto capitale, in realtà, rappresenta parte del prezzo di vendita.
Fonte: il sole 24 ore autori Primo Ceppellini  Roberto Lugano

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