Indagini bancarie, presunzioni ridotte

Prova a carico del Fisco anche per i versamenti sui conti dei professionisti
In caso di indagini bancarie nei confronti di professionisti anche la presunzione sui versamenti è venuta meno dopo una sentenza della Corte costituzionale del 2014: è la singolare interpretazione fornita dalla Corte di cassazione con la sentenza numero 16440 depositata ieri. La particolarità è data dal fatto che la Consulta si era pronunciata solo sui prelevamenti effettuati dal professionista.
A un avvocato e professore universitario veniva contestato maggior reddito a seguito di indagini finanziarie sui suoi conti. In particolare il professionista, in sede di contraddittorio non era stato in grado di giustificare adeguatamente, secondo l’agenzia delle Entrate, taluni prelevamenti e versamenti. La Commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente ricorso e la regionale confermava.Il giudice di appello sosteneva che il contribuente non era riuscito a superare la presunzione legale prevista in tema di indagini finanziarie (ex articolo 32 Dpr 600/73), poiché non era sufficiente l’indicazione dei soggetti beneficiari dei prelevamenti.
L’articolo 32 del Dpr 600/73, prima dell’intervento della Consulta, riconosceva all’amministrazione la possibilità di rettificare il reddito se il contribuente non è in grado di giustificare i movimenti (sia versamenti sia prelevamenti) transitati sui propri conti correnti.
La ratio della norma, cioè il considerare ricavi i prelevamenti (che per loro natura potrebbero rappresentare dei costi), è radicata nella regola di comune esperienza che “costi in nero” nascondono verosimilmente “ricavi in nero”. Il contribuente ricorreva allora per cassazione, rilevando l’errata applicazione della norma: alla luce della sentenza 228/2014 della Corte costituzionale, per i professionisti era venuta meno tale presunzione legale. Ne conseguiva che per contestare che prelevamenti e versamenti fossero ricavi non dichiarati, l’onere probatorio ricadeva interamente sull’agenzia delle Entrate.
La Cassazione, in accoglimento del ricorso, ha innanzitutto rilevato che effettivamente in seguito alla pronuncia della Consulta (228/2014) non è più possibile considerare maggiori compensi i prelevamenti non adeguatamente giustificati dal professionista. Tale pronuncia trova applicazione retroattiva, con la conseguenza che grava sull’amministrazione l’onere della prova anche per gli accertamenti pregressi. 
Tuttavia secondo la Cassazione, in conseguenza dell’incostituzionalità, non sono più sottoposti alla presunzione relativa non solo i prelevamenti, ma anche i versamenti effettuati dal professionista. La Cassazione, infatti, in un passaggio della pronuncia precisa che è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione sia dei prelevamenti sia dei versamenti e si sposta sull’amministrazione l’onere della prova. 
Ne consegue che in ipotesi di indagini finanziarie a carico di soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo sia i prelevamenti sia i versamenti che non trovano adeguata giustificazione nella contabilità, non possono automaticamente costituire maggiori compensi, salvo che l’ufficio riesca a provare tale circostanza. Le conclusioni cui giungono i giudici di legittimità sicuramente origineranno un’ampia discussione.
Fonte: Il sole 24 ore autore Laura Ambrosi

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