L’interpello disapplicativo non è mai un obbligo

L’interpello disapplicativo ai fini della disciplina delle società non operative (e non solo) non costituisce un obbligo del contribuente, ma semplicemente una facoltà. La sua mancata presentazione non può in alcun modo precludere l’impugnazione dell’avviso emesso in applicazione dell’articolo 30 della legge 724/1994. È netta la presa di posizione della Ctr Puglia 2993/24/2016 (presidente Giardino, relatore Cazzolla) nel confermare il giudizio di primo grado, favorevole alla società ricorrente, conforme all’orientamento prevalente in giurisprudenza e della prassi.
Una società di confezioni veniva accertata per l’anno 2006, in quanto ritenuta società non operativa, con la richiesta di un maggior reddito d’impresa per oltre 150mila euro e il riversamento di un credito Iva per circa 20mila euro. 
La società, impugnando l’avviso, dimostrava come l’anno accertato, pur non essendo il primo di esercizio, rappresentasse il primo periodo di effettivo svolgimento dell’attività, peraltro caratterizzato da eventi negativi estranei all’ordinaria gestione. 
L’ufficio si costituiva, affermando che la disciplina delle società di comodo poteva essere disapplicata solo tramite interpello, la cui mancata presentazione avrebbe precluso la possibilità di dimostrare le situazioni oggettive che hanno impedito il conseguimento dei «ricavi minimi», previsti dal legislatore.
Come in primo grado, la Ctr pugliese respinge la tesi dell’Agenzia, ricordando che il comma 4-bis dell’articolo 30 della legge 724/1994 preveda la facoltà per il contribuente di procedere alla presentazione dell’interpello, senza collegare alcuna specifica conseguenza al mancato esercizio di tale opportunità. 
Nel caso di specie non vi erano molti dubbi sul fatto che la mancanza di presentazione dell’interpello disapplicativo non determinasse alcuna preclusione per il contribuente. Lo sostiene la stessa Agenzia (circolare 32/E/2010, che rivede la precedente 7/E/2009) e la Cassazione (sentenza 16183/2014), oltre che il dato testuale della norma. 
Sotto questo aspetto, l’unico elemento difficilmente condivisibile della decisione dei giudici pugliesi è la compensazione delle spese, che non pare rispettare le regole in vigore (articolo 15 Dlgs 546/1992).
L’istituto dell’interpello è stato ridisegnato dal decreto Contenzioso (156/2015) ed è ora disciplinato dal nuovo testo dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente (legge 212/2000). Attualmente si tratta di un interpello “probatorio”, ma nulla è cambiato con riferimento alla volontarietà della sua presentazione, a cui può conseguire la disapplicazione in dichiarazione, appositamente contrassegnata da un codice segnaletico. Solo l’omessa indicazione del codice è sanzionata (da 2mila a 21mila euro, ai sensi dell’articolo 8, comma 3-quinquies, del Dlgs 471/1997). La decisione di non chiamare in causa la direzione regionale, comunque, non ha alcun effetto negativo né comporta alcuna preclusione a carico del contribuente.
Fonte: Il sole 24 ore autore Giorgio Gavelli - Renato Sebastianelli

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